mercoledì 12 gennaio 2011

Referendum: Il giorno più lungo



“Nhom Lau pan Janub”, “Freedom for Southern Sudan” urla un vecchio non appena la sua scheda cade nell'urna, mentre nell'aria agita la corta lancia segno distintivo degli uomini Dinka ed il cappello da cow boy rotola nella polvere, copia di quello da cui il presidente Salva Kir non si separa mai e che si dice sia un regalo del presidente Bush.
Come ad un segnale già programmato, tutte le donne che fino ad un attimo prima attendevano accucciate pazienti il loro turno per votare, scattano in piedi lanciando all'unisono l'acuto strillo che qui è il tipico grido di gioia femminile.
“Sono quarant'anni che attendiamo questo giorno”. Mi dice eccitato un distinto signore vestito in elegante stile europeo e con al collo il tesserino di commissario di seggio, ma che sulla testa porta le tipiche cicatrici circolari distintive dell'etnia Dinka.
Quarant'anni segnati da una guerra civile che si stima abbia fatto un paio di milioni di vittime e che ogni giorno ha preteso il suo tributo di sangue e in cui ogni famiglia del sud Sudan ha lasciato almeno un padre o un figlio, se non entrambi.
L'uomo col vestito elegante dice di venire da Londra in cui vive da oltre dieci anni, e dove ha avviato un'attività di import-export di automobili, “...ma non potevo mancare all'appuntamento più importante per il mio paese!”
Resterà per un paio di mesi, fino a che il risultato e l'indipendenza ormai certa non verranno proclamate e nel frattempo si è dato disponibile per dare una mano al personale che lavora ai seggi.
Un aiuto di certo utile, dato che da recenti stime, l'analfabetismo è una piaga ancora saldamente diffusa in sud Sudan e si stima che il 70% dei soldati, veri padroni del paese nonostante gli ultimi cinque anni di relativa pace, non sappiano ne leggere ne scrivere.
Nel frattempo all'interno del seggio è un continuo andirivieni di gente che è disposta a sobbarcarsi decine di chilometri a piedi e ore di coda pur di poter esprimere il proprio consenso alla separazione dal nord.
E' tutta una nazione quella che si vede passare di qui oggi;
Donne anziane e prosciugate dalla fatica e dai parti, giovani vestiti in un approssimativo stile rapper americano, con vistosi telefonini, quasi sempre senza credito e cuffie alle orecchie.
Vecchi scarni e barbuti con l'onnipresente cappello da bovaro americano, la lunga veste e la corta lancia nella mano, appena giunti dai cattle camps, dove si radunano le preziosissime vacche, unico ed inestimabile bene per i Dinka.
Mentre pazienti fumano la lunga e sottile pipa, altri uomini più giovani in divisa militare e il sempre presente Kalashnikov sulla spalla attendono impazienti cercando di scavalcare la fila approfittando dell'uniforme che qui è il migliore e più temuto lasciapassare.
Altri uomini, quest'ultimi senza uniforme ma sempre armati di fucile si mescolano alla folla, con occhio sospettoso e malcelata arroganza. Sono la nuova forza di sicurezza, istituita dal governo per tenere sotto controllo la situazione, ma probabilmente uno dei primi problemi che lo stesso governo dovrà risolvere quando avrà da gestire la situazione e si troverà tra i piedi questa numerosa schiera di giovani della “sicurezza” che in realtà sono una delle prime cause di corruzione del paese e sfruttando il loro illimitato potere non esitano a minacciare ed estorcere denaro alla gente, quasi sempre per fini personali.
Probabilmente non saranno gli arabi del nord quelli che il GOSS, il governo del sud Sudan, che si appresta ad insediarsi al potere dovrà temere.
La minaccia peggiore verrà dalla disastrosa situazione di un paese che da soli cinque anni ha conosciuto una pace approssimativa e che è riuscito a mantenersi in piedi solo grazie al costante pompaggio di valuta fresca inviato dall'occidente per cercare di mantenere stabili gli accordi di pace del 2005 ma soprattutto per ipotecarsi la fetta più sostanziosa della torta, una volta che il sud Sudan sarà del tutto indipendente e avrà pieno accesso agli immensi giacimenti di petrolio che si trovano nel sottosuolo.
Un paese la cui economia è basata quasi interamente sugli aiuti internazionali ed in cui il 99% dei servizi esistenti sono forniti dall'incalcolabile numero di ONG presenti e che ormai da sole fanno girare una buona parte del commercio locale ma nella realtà dopano il mercato causando un'inflazione che cresce ogni giorno.
A tutto questo bisogna aggiungere il fortissimo problema delle numerose etnie che spesso si guardano in cagnesco e sono in perenne conflitto tra loro per motivi tribali causati da terreni coltivabili, pascoli e bestiame, vera ricchezza e moneta di scambio per gran parte dei sud Sudanesi,di origine Dinka, l'etnia principale e che si considera l'unica erede del SPLA, l'esercito di liberazione che ha vinto la guerra con il nord e che di conseguenza è piuttosto maldisposta a condividere il potere con altri gruppi etnici, i quali per altro già reclamano cariche di potere anche per le loro rappresentanze.
A tutto questo si può aggiungere l'ondata di “Returners”, i sud sudanesi che si erano trasferiti al nord negli anni e che prima e durante il referendum stanno lasciando in massa il nord per tornare nel loro paese d'origine. Una vera e propria migrazione ma che ormai si potrebbe considerare un movimento di profughi i cui effetti si possono già vedere nei villaggi appena passato il confine tra nord e sud, dove già circa 30'000 persone sono giunte e si sono accampate un po' ovunque nelle zone paludose attorno ai centri abitati, circondati solo dalle cose più preziose che sono riusciti a trascinare con se: un televisore, un letto, un materasso e pacchi di vestiti ed altre poche cose.
Le stime dicono che per le prossime settimane potrebbero arrivarne fino a 150'000 ma che nel giro di un anno la cifra potrebbe salire fino ad un milione!
Gente che il governo del nord certo non cerca di fermare mentre quello del sud a caccia di voti e nuovi cittadini continua ad invitare quaggiù, senza però un reale e strutturato piano di accoglienza.
Basterebbe un niente per scatenare epidemie e conseguenti vittime che potrebbero diventare incontrollabili.
D'altra parte che potrebbe fare una nazione che vive ancora in larga parte sugli aiuti alimentari del “World Food Program” e in cui tutto è basato su una corruzione ormai talmente evidente da essere considerata buona norma.
Anche nella migliore delle ipotesi dunque, la strada del sud Sudan o Nuovo Sudan come viene comunemente definito qui, non può certo considerarsi dritta e lastricata d'oro, quanto piuttosto lunga ed impervia in una maniera che solo chi ha provato le strade locali può comprendere.
Sicuramente questa è una nazione con tutte le potenzialità per poter crescere e dare un nuovo futuro al proprio popolo, ma che nasce sotto una luna maligna, in un continente dove proprio ora si sentono riecheggiare nuovi tamburi di guerra ed in cui ancora vecchi incendi non sono stati sedati.
C'è da augurarsi che il ricordo dei tanti e paurosi anni di guerra vissuti da questo popolo possa essere il primo impulso per trovare nuove soluzioni e una via pacifica alla nascita dell'ultimogenito di Mama Africa.


FAbrizio Minini

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