sabato 20 novembre 2010

Referendum, dichiarazione di pace o preludio di guerra?


Sono lampi quelli che anche stasera all'imbrunire si intravedono guardando verso nord ed il rombo che si sente riecheggiare tra le colline e la savana è solo un tuono, ultimo strascico della stagione delle piogge che ci stiamo lasciando alle spalle ma forse oscuro presagio di quello che potremmo udire nei prossimi mesi.

Sei anni sembravano un futuro lontano e remoto quando nel 2005 vennero firmati i CPA, gli accordi di pace in cui si stabilì la scaletta dei passaggi che avrebbero portato ad una pace concreta e al definirsi di 2 entità distinte tra il nord ed il sud del Sudan, terminando così una volta per tutte una guerra civile durata quasi 40 anni e che aveva portato le vittime a cifre che qualcuno azzarda a sei zeri e centinaia di migliaia di profughi.
Ma i sei anni sono trascorsi in fretta, in una situazione di pacificazione zoppa e barcollante ma che tutto sommato ha tenuto ed ora, la data stabilita, il nove gennaio 2011 è drammaticamente vicina e, come era ampiamente previsto, la tensione negli ultimi mesi è cresciuta esponenzialmente e c'è ancora spazio perché il termometro possa salire ulteriormente.
Il nord Sudan guidato dal presidente Al Bashir, azzardatamente inserito tra i criminali internazionali dall'occidente ha trovato grazie anche a quest'accusa una crescita dei consensi e da Khartoum per bocca dei suoi ministri continua ad alzare ed allentare la tensione, dicendosi un giorno favorevole al referendum e ritrattando il giorno successivo, quasi a voler misurare lo spazio di manovra che avrà al momento decisivo.
Dal canto suo il generale Salva Kir, presidente del governo formale del sud Sudan, entità non ancora ufficialmente riconosciuta ma di fatto già esistente, forte dei numeri che sembrerebbero a favore della separazione, insiste che non ci sono impedimenti al regolare svolgimento del referendum e anche solo un rinvio sarebbe una palese violazione degli accordi di pace e una formale dichiarazione di guerra; Se il referendum non si dovesse svolgere il sud Sudan si dichiarerebbe comunque indipendente, a costo di cadere in un nuovo devastante conflitto.
Ma la vera partita in realtà la si gioca molti chilometri più a nord di Juba, capitale del sud Sudan.
Il vero epicentro degli eventi si trova infatti nella cittadina di Abyei, vicino alla linea di confine con il nord ma di fatto ancora nel sud Sudan. E' li infatti che sono localizzati i più importanti giacimenti di petrolio, cuore della questione e dell'interesse di entrambe le fazioni in lotta.
E mentre Salva kir invoca all'Onu la dislocazione di caschi blu come truppe di interposizione lungo la linea di confine durante il referendum, il nord si è già detto assolutamente contrario alla proposta e l'ONU stesso non sembra interessato a farsi tirare in mezzo ad una questione dagli esiti incerti ed insiste per le vie diplomatiche. Se non bastasse, a scaldare ulteriormente la situazione rimane sospesa la questione del diritto di voto ai Missiriyah. Tribù nomade di origine araba che proprio per motivi di pascolo delle greggi, oltre che per legami di affinità col nord, si dice sfavorevole alla secessione e per questo il sud vorrebbe considerarla tra le etnie che non hanno diritto di voto in quanto nomadi mentre ovviamente il nord la vorrebbe fra i votanti.
Il risultato é che già da mesi la linea di confine si sta riempiendo di soldati e mezzi di entrambi gli eserciti e ogni giorno noi stessi siamo testimoni di colonne di carri armati Merkava di produzione israeliana giunti giusto in tempo, nonostante l'embargo, per rimpinguare il già solido arsenale del SPLA, l'esercito sud sudanese, diretti verso nord insieme con truppe fresche di giovani soldati della nuova generazione, di quelli cioè abbastanza vecchi da aver vissuto la guerra ma troppo giovani per averla combattuta.

Sono cominciate nel frattempo le operazioni di registrazione della popolazione che solo dopo essersi registrata ed aver ricevuto il tesserino elettorale potrà recarsi all'urna per il referendum.
Al sud si registrano code ai seggi fin dall'alba e colpisce favorevolmente il numero di donne che si recano ai centri di registrazione.

Quello che accadrà da qui alla data fatidica del nove gennaio é davvero difficile da prevedere. Qualche scaramuccia di certo non mancherà e come é già accaduto per le elezioni di aprile, seppur svoltesi in maniera regolare, qualcuno cercherà di far alzare la tensione e forzare la mano e qualche vittima prevedibilmente ci sarà, sapendo soprattutto che le armi sono in mano a ragazzotti riempiti di retorica e dal grilletto facile.
Ma come sempre il vero ago della bilancia verrà spostato da pressioni e promesse dei governi occidentali e della Cina, entrambi interessati al petrolio sudanese ed a non avere un altro focolare di guerra proprio in una zona d'importanza strategica e che inevitabilmente rischierebbe di divenire terreno fertile per l'estremismo islamico che già sta conquistando proseliti e terreno dalla Somalia al Mali.
FAbrizio